lunedì, febbraio 23, 2009

Camus sulla guerra d'Algeria

Algeri, 22 gennaio 1956: (...) Su questa terra sono riuniti un milione di francesi, stabilitisi qui da un secolo, milioni di musulmani, arabi e berberi, installatisi da secoli, parecchie comunità religiose, forti e vive. È in questo luogo dove si incrociano strade e razze , dove li ha collocati la storia, che questi uomini debbono vivere insieme. Possono farlo, alla sola condizione di venirsi incontro reciprocamente di qualche passo, in un libero confronto. In questo caso le nostre differenze dovrebbero esserci d'aiuto, invece di contrapporci gli uni agli altri. Per parte mia, qui come ovunque, credo soltanto nelle differenze, non nell'uniformità. Perché le differenze sono le radici senza le quali l'albero della libertà, la linfa della creazione e della civiltà, inaridiscono. (...)

Si immagini quel che accadrebbe se il nostro tentativo fallisse. Sarebbe il divorzio definitivo, la distruzione di ogni speranza, e una sventura di cui ora abbiamo appena una pallida idea. Quelli tra i nostri amici arabi che oggi stanno coraggiosamente accanto a noi in questa "no man's land" dove si è minacciati su due fronti e che, lacerati interiormente, hanno già tante difficoltà a resistere a tentazioni sempre più forti, saranno costretti a cedere e si abbandoneranno a una fatalità che annienterà ogni possibilità di dialogo. Direttamente o indirettamente, entreranno nella lotta, mentre avrebbero potuto essere artigiani della pace. È dunque interesse di tutti i francesi aiutarli a sfuggire a tale fatalità.

Ma, allo stesso modo, è diretto interesse dei moderati arabi aiutarci a sfuggire a un'altra fatalità. Se infatti falliamo nel nostro tentativo e diamo prova di impotenza, i francesi liberali che pensano si possa far coesistere presenza francese e presenza araba, che credono che tale coesistenza renderà giustizia ai diritti degli uni come a quelli degli altri, che sono sicuri, in ogni caso, che essa soltanto possa salvare dalla miseria il popolo di questo paese, quei francesi saranno ridotti al silenzio. (...)

Ecco il duplice pericolo che ci minaccia, il rischio mortale davanti a cui ci troviamo. (...) Ecco perché il mio appello sarà di un'urgenza assoluta. Se avessi il potere di dare una voce alla solitudine e all'angoscia di ciascuno di noi, è con quella voce che vorrei parlarvi. Per quel che mi riguarda, ho amato con passione questa terra dove sono nato, da lei ho attinto tutto quel che sono, e non ho mai fatto distinzioni, nelle mie amicizie, tra gli uomini che la abitano, di qualunque razza siano. Benché di questa terra io abbia conosciuto e condiviso le miserie, che non le mancano, è rimasta per me la terra della felicità, dell'energia e della creazione. Non posso rassegnarmi a vederla diventare per chissà quanto tempo la terra dell'infelicità e dell'odio.

So che le grandi tragedie della storia, con il loro orribile volto, spesso esercitano una fascinazione sugli esseri umani, che restano immobili di fronte a loro senza riuscire a prendere una decisione, se non quella di attendere. Aspettano, e un giorno la Gorgone li divora. Io vorrei farvi condividere la mia convinzione che tale incantesimo può essere spezzato, che quell'impotenza è un'illusione, che la forza del cuore, l'intelligenza, il coraggio bastano per dar scacco al destino e a volte per rovesciarlo. Basta soltanto volere, non ciecamente, ma con una volontà ferma e meditata.

Ci si rassegna troppo facilmente alla fatalità. Troppo facilmente si accetta di credere che dopo tutto solo il sangue fa compiere passi avanti alla storia e che il più forte, in questi casi, avanza a scapito della debolezza dell'altro. Forse questa fatalità esiste. Ma il compito degli uomini non è quello di accettarla, né di sottomettersi alle sue leggi. Se l'avessimo accettata nelle età più remote, saremmo ancora alla preistoria. Il compito degli uomini di cultura e di fede non è, in ogni caso, né disertare le lotte storiche, né mettersi al servizio di quel che c'è in esse di crudele e di disumano. È quello di resistere, di aiutare l'uomo contro quel che lo opprime, di favorirne la libertà contro le fatalità che lo accerchiano.

venerdì, febbraio 20, 2009